C’era un castello…

La mia generazione ha conosciuto la parola “Pietramala” quale inconsueto nome di una delle prime “radio libere” degli anni 1970. Dato che nessuno ti insegnava la storia di Arezzo (e ora?), per anni uno pensa che sia un nome da quartiere romano o giù di lì… Poi, in maturità (?), un pizzico qui, un cenotafio là, un libro per caso, un documentario a Teletruria, una curiosità che cresce… va a finire che qualche tassello comincia ad assestarsi. E scopri che, completamente dimenticato dai più, ad uno sputo dalla città ci sono i ruderi della magione di quella casata che tanto lustro a dato ad Arezzo con quel Guido Tarlati di Pietramala, nonostante i momenti bui di ferro e fuoco coi guelfo-fiorentini (detti anche buhaioli…così, giusto per bilanciare il botoli ringhiosi del guelfo Dante, appellativo comunque che ben ci sta se trascuriamo così il nostro passato). Non a caso, il grande Guglielmino degli Ubertini, un po’ vescovo un po’ condottiero, era appena rimasto sul campo del macello di Campaldino, assieme al suo capitano Buonconte da Montefeltro.

Guido muore forse di peste nel primo quarto del 1300, in una Toscana straziata non solo dalle guerre tra i due schieramenti ma anche da intrighi e tradimenti, e con i suoi fratelli che gli succedono Arezzo cadrà definitivamente.

E così erano anni che meditavo la scappatella (l’eterno conflitto tra tempo libero e meteo), e alfin, nel febbraio scorso…Tra l’altro sono meno di 6 km a/r (a piedi, ovviamente! ma va bene anche in mtb) dal punto in cui il sentiero CAI102 lascia la sterrata comunale che va da S. Polo a Poti, detta “la Fontemura”.

Premetto che l’area, che potrebbe essere un piccolo paradiso, è tristemente trascurata e, pure peggio, preda di orde di unni endurizzati, a 2 o 4 ruote poco importa, che massacrano il fondo stradale, scavandoci voragini e rendendolo un pantano (ecco perché ho aspettato che fosse tutto gelato, fango compreso!), oltre al rischio live di incrociarli – a velocità folli e con sassi che volano da tutte le parti – lungo il sentiero.

Panoramica mattiniera sulla città presa lungo il CAI102 poco dopo lasciata la Fontemura, qualche chilometro sopra San Polo.

Il tour promette bene: il sentiero già offre assortimenti di reperti storico-archeologici di elevato interesse, quasi fosse un museo all’aria aperta …

La radura a nord del M. Castellaccio (che pure porta vaghi rimasugli di una antica roccaforte) è anche un incrocio tra in nostro CAI102, che attraversa obliquamente entrando nel malandato cancellino a destra dello spiazzo, il CAI531A, che arriva alle spalle di veduta dopo aver valicato il Castellaccio, e lo stradello di fronte che porta a Gello e verso il Campriano. Nello skyline a destra, in sequenza, l’Appennino (zona Carpegna), Poggio Gallorini e M. Castiglione.

Caliginosa panoramica della spianata nord di Arezzo, presa circa dalla radura di cui sopra in tarda mattina. A risoluzione originale, se non altro, permette di vedere bene il mio paesello…

Il rifugio CAI di Vezzano …e dài, sto scherzando! Mi piacerebbe sapere se il paio di ruderi che si incontrano in questa zona possano risalire pure loro al tardo medioevo, dato che sicuramente lungo la via erano posti diversi punti di ristoro/ricovero. Poco prima si costeggia un bell’edificio di evidenti usi a ricovero bestiame, con tanto di numero civico, apparentemente integro ma – sempre apparentemente – dismesso e abbandonato (ma forse dipende dalla stagione).

Il rudere di prima, costituito da almeno due corpi separati, come invece appare dal Castellaccio.

Il “castello”, intravisto dopo aver superato Vezzano. Giù sulla destra, il Borro di Misciano.

Segni di civiltà … anche se talvolta, purtroppo, ne indicano carenza…

La lapide a memento di un eccidio dell’ultima guerra, ben segnata sulle carte IGM25 e CTR10K (ma non sulla arcaica ma caruccia CAI-AR “Sentiero 50”) e posta in corrispondenza di un largo quadrivio, annuncia la vicinanza della meta. Segue un bivio dove prendendo a sinistra si segue l’antico tracciato mentre a destra si “salta” il castello e si va direttamente al guado.

Il “castello” di Pietramala, così come si presenta arrivando dal sentiero. Penso che i muri ancora in piedi siano comunque una successiva ricostruzione parassita sulle originali fondazioni del castello tarlatesco, bombardato (si dice, appunto, con uso di bombarde) e distrutto dai fiorentini a fine ‘300. Il sentiero carrareccio, forse per la pendenza, è già diventato fortemente sconnesso ed è bene guardare dove si mettono i piedi.

Una vista frontale, mentre si avverte, anche dalla prospettiva, la forte pendenza del malmesso stradello che porta al guado del Chiassaccia.

Da qui si ha una miglior percezione delle numerose rolling stones a cui occorre prestare attenzione soprattutto in discesa! Sono poco meno delle ore 10, qui finisce la zona soleggiata …

… e si entra in quella ancora ghiacciata! Confermo che trattasi di una semplice rotazione di ripresa dallo stesso punto. Stando nel confine d’ombra e complice la schietta mattinata, il voltarsi da una parte e l’altra porta a sensazioni surreali e anche la compensazione cerebrale della temperatura di colore stenta ad adeguarsi. Nelle pozze stagnanti si trovava ghiaccio di tre centimetri. La giornata sarà poi estremamente mite ma qui il gradiente, vista anche l’ora, è micidiale.

Il Borro di Misciano, tributario del qualche-metro-più-in-là Rio Chiassaccia e che, a sua volta, confluirà nel Chiassa nei pressi del Chiaveretto. Guadato pure il Chiassaccia, si trovano i ruderi del mulino di Pietramala (o del Falco) e la prosecuzione del CAI102 verso la Valtiberina, seguendo l’antica via per Anghiari, incontrando i ruderi di Case Ceralta e su, sul fianco del Monte Castiglione, dove incontra il CAI50 (la famosa “superstrada Verna-Trasimeno”), sfiorando Poggio Gallorini verso Montemercole e giù verso la Pieve di Sovara. Lato città, la via usciva da Porta S. Angelo, più tardi fagocitata dalla fortezza, in direzione acquedotto vasariano (“gli archi”)-Godiola.

La zona in 3D con coreografico overlay della carta IGM25, indicazione di percorso e principali waypoint. Proseguendo oltre i guadi, magari con puntate a Ca’ di Peccato e Montermercole, tenere presente che le ascensioni totali a/r cominciano a farsi sentire.

 

Conclusioni: per fare due passi, tra l’altro a uno sputo dalla città, è da tenere in considerazione, pur se le attrazioni prettamente naturalistiche non sono certo il top. Però se si ripassa un po’ l’epoca dei comuni e le cronache del tardo medioevo, oltre a qualche zoomata sui personaggi che hanno fatto la storia stessa di Arezzo, beh, devo dire che qualche tocco suggestivo c’é. Tanto per dire, Guido, tra molto altro, è anche l’artefice del singolare drittone tra Anghiari e Sansepolcro (giusto un continuo su Val Tiberina, Rimini o Urbino della via di Pietramala in contesto) nonché del quasi completamento con tocchi gotici dell’attuale duomo (opera di fatto interminata fino al ‘500 e poi rimaneggiata a inizi ‘900), dopo che la relativa area del colle S. Pietro era stata profondamente ridisegnata dal grande Guglielmino.

Saluti a tutti da Carlo Palazzini