25 Ago Montesilvestre e le primigenie acque del Corsalone
Arroccato sulle creste calancose della Valle Santa, che in altri tempi erano chiamate “del Bastione”, dove nasce il Corsalone e all’ombra del Sacro Monte, si trovano le dimenticate spoglie di un paesino dei tempi che furono. Si intravedono pure, dalla SP62, nel tratto tra Rimbocchi e La Beccia, o dalla balconata del Penna, ma lo sguardo del viandante è spesso assai distratto da scenari più vasti e appariscenti. La posizione e l’assenza di strade agevolmente praticabili ha contribuito non poco al suo attuale stato “naturalmente” degradato ma praticamente non vandalizzato e la sua esplorazione riesce a suscitare intense emozioni (almeno sugli attempati come noi).
Scendendo lungo la provinciale dalla Verna verso Rimbocchi, si presenta lo spettacolo lunare dei bianchi ed erosi calanchi, della tipica sagoma del Monte Fatucchio e del retrostante crinale appenninico e lo sguardo frettoloso non si sofferma su quegli indizi di pietrosa manifattura, semisepolti dalla vegetazione rampicante sulla cresta tra il Fosso di Gargabuio e il Fosso della Selva. E qui pure in ombra.
La nostra scarponata inizia dalla capanna cantoniera lungo la provinciale, dove, dopo aver parcheggiato, si possono ammirare le “pignatte del diavolo” (o “marmitte dei giganti” o altre fiabesche varianti, ne parleremo poi) e dove pure troviamo la bretellina-scorciatoia del CAI 079, che, dritta e violenta, sale subito di un centinaio di metri. Il percorso è tutt’altro che agevole: la natura marnoso-arenacea, frantumata dall’erosione in miriadi di sottili scaglie, rende scivolosamente traditrice la già erta salita (e figuriamoci come sarebbe una discesa…). Come se non bastasse, le profonde pignattone sono proprio laggiù, alla base dell’arrampicata, come in malvagia attesa…
Appena il cammino spiana, ricongiungendosi al percorso canonico dello 079, si tira il fiato e si ammira il panorama a pieno circolo. A sud, il lato alto del Sacro Monte, che farà da costante landmark per tutta la giornata. Seguono, in senso orario, il Poggio Montopoli, uno scorcio di crinale tra Camaldoli e Badia Prataglia, il Monte Fatucchio (quota 904, dove transiteremo al ritorno), la cima del Montalto (1302m), la valletta del Corsalone-Gargabuio e il nostro marnoso sentiero verso Montesilvestre.
Si cammina in cresta verso oriente, tra fondo scaglioso e arbusti. La quasi assenza di alti fusti permette di godere continuamente dei panorami circostanti. Il fondo, prima arido, tende poi a verdeggiare e si è sommersi da corpulenti roseti selvatici in piena fioritura. Non passa troppo che già si incontrano i primi resti diroccati del fu abitato di Montesilvestre. La chiesetta, lì da quasi un millennio, conta su un campanile a vela ancora integro, attraverso la cui vuota bifora lo sguardo punta verso il “Calcio del Diavolo”.
Proseguendo per dei begli spazi aperti, visibilmente adibiti a pascolo ovino, si entra nel grosso dell’insediamento (quota media 840). Tetti e solai, basati su travature lignee, sono quasi tutti crollati ma le robuste pareti perimetrali, di una invidiabile e intatta pietra a vista, sono spesso lì in piedi, con porte e finestre ormai prive di infissi attraverso le quali si percepiscono le intimità ormai perdute. Il pozzo, completamente “carenato”, è uno dei pezzi forti d’attrazione.
Le testimonianze “tecnologiche” fanno pensare ad un luogo in qualche modo vitale fino a metà XX sec. Il Repetti riporta 54 abitanti nel 1833. Ma come sarà avvenuto l’abbandono? Sarà scivolato gradualmente nel triste oblio? Nella parte terminale alta del paese, troviamo un locale aperto attrezzato a forno (quelli di una volta!), ancora in qualche modo praticabile e difatti praticato. Sarà stata la panetteria del villaggio? In ogni caso, servisse un rifugio di emergenza… magari con qualche rocchio allo spiedo… anche in inverno…
La seguente edicola sacra chiude l’insediamento e il fondo torna a farsi scistoso a tratti.
Clima e fattori entomologici, scarsità di segnavia, erboni e rovi, recinti e cancelli a filo spinato nonché desiderio di evitare discussioni con cani pastore, a guardia e protezione di greggi già in vista, ci consigliano ora di cambiare programma: anziché proseguire sullo 057 verso il Passo delle Gualanciole, tentiamo un avventuroso taglio trasversale della valletta del Gargabuio, alla ricerca del CAI 059 sull’altra sponda. Alla fine sarà una racchetta anziché un anello, ma pazienza.
La deviazione non è segnata e sulla carta il suo percorso è malamente e dubbiosamente tratteggiato. Ma le carte, come anche riporta il Pasetto (v. in calce), su questa zona si prendono licenze non troppo giustificabili e le incongruenze sono palesi. Evidenti tracce di fuoristrada ci danno comunque fiducia sulla sua percorribilità e ci tuffiamo a valle! Come sperato, l’attraversamento dei fossi di Gargabuio e Corsalone (quota 770) e adiacenti tributari minori non pongono troppi problemi e anzi lo spettacolo è notevole e per di più piacevolmente ombreggiato! La particolare pietra dell’alveo e i giochi di riflessi e rifrazioni creano incantevoli tonalità policrome nella limpida e scrosciante acqua, che diventano sfumature smeraldine nelle vasche più profonde. Effetti che ritroveremo più tardi anche a valle, pignatte comprese. Ne approfittiamo pure per sciacquar via lo spesso fango raccolto dagli scarponi.
Dopo l’assolata risalita della sponda opposta, sbuchiamo finalmente sulla vecchia strada doganale, CAI 059, che seguiamo a est. Qui il fango diventa un problema: grossi mezzi agricoli hanno scavato voragini melmose e spessi pantani, difficili da aggirare data la natura del fitto bosco e sottobosco a ceduo cerreto. Se c’era una pista bypass l’abbiamo persa. Poi finalmente si sbuca su strada bianca, la velocità media aumenta sensibilmente e in poco tempo si raggiungono dei pascoli bovini e il Capannino, una complessa struttura rurale diroccata, parte della quale è costituita da fabbricato (cappella?) con mirabile copertura a lastre di pietra, compresa quella vela residua sulla quale uno si chiede che colla abbiano mai usato… Siamo a quota 950 in area montana, non è che qui gli elementi siano magnanimi! E come fanno lastre e pietroni a rimanere lì in bilico? Mah!
In modo quasi clandestino (se non fosse per il GPSr), A quota 964 il CAI 059 se ne va sulla destra immergendosi in fitti erboni, mentre la strada diventa 059/A, variante dedicata a MTB e ippica. Come già rilevato, stagione, alte vegetazioni e attività di pascolo si combinano rendendo un po’ alto il rischio di conseguenze da insetti, parassiti o altro. Evitiamo quindi la via campestre e proseguiamo per la monotona ma sicura sterrata.
Ultimo milestone prima del Passo, al quale ora manca veramente poco: la confluenza sul GEA/CT/50 (quota 1065). Questo tratto sterrato di crinale, per quanto a pieno sole, è molto gradevole: a sinistra, un greppo ricco di varia flora e oltre il quale è Valtiberina, a destra panorama sui quadranti occidentali, con lussuriosi prati detti Le Piagge dai quali affiorano le primigenie acque del Corsalone.
Il Passo delle Gualanciole, infine. Ne aveva già parlato Simone qualche tempo fa. Oltre a realizzare un valico tra Valtiberina e Valle Santa, di per sé, il luogo è insignificante, manco un tavolino o una panca per riposarsi, a meno che non si voglia scendere alla sottostante Casa Gualanciole. E, come rileva anche il Pasetto, qui (che quasi non serve) la segnaletica è pure doppia o tripla, mentre laddove c’è serio rischio di disorientamento… Il fatto poi che certe segnaletiche servano da bersagli è solo una conferma del grado di civilizzazione.
Un saluto alla farfallina che per tutto il tempo se ne è stata posata sulla confezione di biscotti (buongustaia, eh?), incurante delle nostre adiacenti attività di rifocillamento.
Da qui sono poco meno di otto chilometri al Passo di Serra, verso NW (crinale GEA/CT via Poggio Tre Vescovi e Passo Rotta dei Cavalli), e poco più di sei alla Croce della Calla (Verna) verso S (crinale GEA/CT/50 via Passo delle Pratelle e M. Calvano).
La via del ritorno prevede di seguire lo stesso percorso d’arrivo lungo lo 059 per poi proseguire sullo stesso fino alla SP62. Ora stiamo vedendo Montesilvestre da nord, osservando come in effetti vi siano greggi laddove eravamo qualche ora prima. Anche la vecchia doganale ha comunque i suoi ruderi: il nucleo delle Nocette (quota 850) contempla anche una graziosa chiesetta ancora strutturalmente integra, solo il campanile a vela ha perso un pezzo. Angosciante vederne l’interno dissestato. Forse potrebbe servire come rifugio d’emergenza ma certo sarebbe un atto di fede verso quei travi…
Malinconiche reliquie di un mondo spazzato via dalla “modernità”.
Quando lo stradello approccia il fianco del M. Fatucchio, si nota la deviazione che sale alla Rocca, dove miseri resti tipo Pietramala ricordano la passata esistenza di un fortilizio, dove si dice soggiornassero giustappunto i potenti vescovi aretini di inizio secondo millennio ma con anche funzioni di dominio sulla sottostante via Romea Peregrinorum, proveniente dal Passo di Serra. Per stavolta però soprassediamo e quindi continuiamo sullo 059, che poi transita a mezzacosta nord del monte da dove si ha qualche bella vista sul’alta Valle Santa, Rimbocchi e Biforco. Successivamente sfiorato un ulteriore grosso rudere detto La Villa (quota 770), non rimane che affrontare l’arida, penosa e infida discesa verso Montefatucchio (dal costeggio a N del Fatucchio alla SP sono 1.5 km a pendenza costante del 17%! Anche in su non dev’essere uno zuccherino!).
Da Montefatucchio, attraversando la vicina SP, si transita su un ponticello oltre il quale si può scendere alle fresche acque dell’imberbe Corsalone, ora arricchito anche dal Fosso della Selva, con i suoi giochi di cascatelle e colori. Proseguendo, si sale su salitone selciato verso il Sasso Cavallino.
Si risale dunque la SP verso la Verna e circa a metà dell’asfalto dal raggiungere il punto di partenza, accanto alla canonica salita dello 057 e ben nascosto tra le folte fronde, si intravede appena la sagoma del ponte romanico, detto “ponte dell’amore”, sotto il quale scorre quanto raccattato fino a quel momento dai fossi di Gargabuio-Corsalone in precedenza guadati. Inspiegabilmente ignorato dalle carte, manufatto e relativo corso d’acqua creano un insieme molto suggestivo e probabilmente nei mesi freddi, senza foglie e loro ombra, l’apprezzamento visivo ne guadagna.
Si prosegue quindi sulla SP, oltrepassando una zona di recenti e massicci crolli di arenarie che hanno influito anche sulla carreggiata, fino a tornare all’auto. Ora il sole è più alto e l’interno dei pignattoni un po’ più apprezzabile. Probabilmente esiste un’ora ottimale, magari al solstizio d’estate, ma noi avevamo anche altro da fare… Comunque sono un bello spettacolo (vedasi anche post di Simone), specialmente con buona illuminazione e acqua abbondante, laddove si ritrovano i biancori di quella pietra e le marcate sfumature verdi delle acque. Si noti il “duello” fotografico da postazioni opposte, al fine di evidenziare prospettive e proporzioni dello spettacolare fenomeno erosivo. Nonché il fatto, come già rilevato all’inizio, che rotolando giù dalla erta e scagliosa bretellina ….
Rosae, rosarum… Oltre alla sagoma del Penna e al fondo scistoso, costanti compagni di viaggio sul crinale montesilvestrino saranno innumerevoli arbusti di rosa canina, alcuni anche di taglia considerevole.
Troppo spesso liquidati come banali rovi, gli arbusti di rosa canina cresciuti indisturbati qui raggiungono dimensioni insolite, quasi degli alberelli, carichi di delicati fiori rosa o bianco-giallo che scendono a cascata rendendo il paesaggio e i prati a pascolo dei veri “giardini naturali”.
Alla fine dell’estate, i rami si copriranno di bacche rosse, le coccole, conosciute da secoli per le loro virtù terapeutiche e ricchissime di vitamina C. Non ci era mai capitato di trovarne tante, così grandi e disposte sui prati come a sottolineare il panorama. Questa visione da sola già giustificherebbe la salita…
Citisi, sassifraghe, ginestrini, vulnerarie, ononidi, orchidee, poligale, ranuncoli, veroniche, nontiscordardime, campanule e piantaggini varie… Non l’abbiamo centrati tutti ma almeno abbiamo provato a dar loro un nome. L’aridità del posto non ferma la coraggiosa e colorata flora e, come d’uso, buttiamo là una raffica di esemplari.
Gags – Alcuni aspetti curiosi sui quali ci siuamo imbattuti. L’avviso, lapidario, all’interno dell’ambiente “forno”a Montesilvestre. Poi il segnale di fermata di autobus di linea (e pure segnavia CAI), accanto al cimitero di Montefatucchio. Che c’è di strano? Che lì la tortuosa stradina ha un fondo assai sconnesso e con pendenza considerevole e saremmo curiosi di vedere con che mezzo fanno servizio! E magari in inverno! Land Rover? Infine, un capolavoro di segnaletica stradale, peraltro non raro in provincia, colto nel tratto scarponato della SP62: tre segnali incompatibili tra loro anche se presi a due a due, figuriamoci in tris!
x1-3 Montesilvestre (Monte Silvestri per il Repetti) visto da sud e da nord.
La scarponata descritta, qui proiettata su Bing Maps che nella zona permette una migliore riproduzione rispetto a GE, è di 14 km con ascensioni totali per quasi 700m.
Alcuni riferimenti:
- trekkinando.it
- articolo di Brunacci su ArezzoNotizie.it, aprile scorso (archiviato amputato di foto e autore);
- don Francesco Pasetto, Itinerari: Montesilvestre e Montefatucchio, rivista CasentinoPiù (AGC Edizioni), agosto 2010,
- cartografia: il circuito completo è riscontrabile sulla IGA 135 App. Tosco-Romagnolo, 1:50K (buona nonostante la scala); sulla Casentino ex-CM Selca 1:50K (troppo approssimata e non dettagliata); sulla CAI AR Matteagica-Selca Tra Tevere e Arno, 1:25K (molto buona); sulla Multigraphic 35 Casentino e Valtiberina 1:25K (molto approssimata). Altre buone carte dell’area riportano solo porzioni.
- schede Itinerari escursionistici: 057, 059, 059a, ex- CM Casentino, 2004