42A, nel reame della raggiolana

Seconda metà del 2012: si concretizza il progetto di restauro della Croce di Pratomagno e nell’occasione vedono la luce diverse iniziative locali collegate, volte a festeggiare l’avvenimento e alla promozione locale, tra le quali, su iniziativa della Brigata di Raggiolo, quella di ufficializzare, come sentiero numerato CAI, un percorso già più o meno consolidato che va dall’abitato di Raggiolo al bivacco Buite (quota 1350 ca.), quest’ultimo già collegato con la sommità del massiccio attraverso il 42/A e 42. Il nuovo percorso costituirà anzi proprio un prolungamento dell’attuale 42/A, creando un collegamento praticamente diretto tra l’abitato e la Croce, simbolo stesso del Pratomagno aretino.

L’iniziativa locale non è un caso: Raggiolo ha un legame particolare con la Croce, sia attraverso l’ideatore-propugnatore del monumento francescano sia grazie al determinante supporto logistico offerto per la sua costruzione.
Sta di fatto che a fine novembre riusciamo finalmente a combinare con i raggiolatti uno scouting del percorso. Il meteo non è granché, ma visto l’andazzo recente è già grassa che non piova. Il breve resoconto che segue è la semplice cronaca di quella allegra e intensa giornata di “esplorazione”, un’anteprima del sentiero che vedrà la propria festosa e ghiotta inaugurazione il 16 giugno, evento titolato Sui sentieri della transumanza, dopo un primo sofferto rinvio causa un bizzoso maggio quasi fosse invidioso del novembre precedente.

Siamo nel reame della raggiolana, esclusiva dell’orgoglioso insediamento di Raggiolo, nucleo di verosimile origine longobarda (X sec.), poi terra degli onnipresenti conti Guidi e già al tempo forte dei frutti della sua varietà dell’albero del pane. Effimero transito sotto i Tarlati per poi passare volontariamente, ma non senza successivi pentimenti, sotto la dispotica Firenze. Dall’epoca granducale, la popolazione raggiolatta sarà caratterizzata da sostanziose iniezioni còrse.
Oltre alle ben note produzioni locali, l’area era interessata da una direttrice di transumanza e commercio – varco Reggello- Passo Serra (via Romea di Stade) – quale percorso intermedio di assi di spostamento trasversali rispetto a quelli più a nord (Montemignaio, Caspriano, Consuma) e quello più a sud (la via Abaversa di Capraia), oltre alla loro congiunzione longitudinale attraverso il crinale, l’antica  Via della Montagna, che portando verso Secchieta e Vallombrosa, scendendo poi a Reggello, permetteva la comunicazione con Firenze.

Una doverosa precisazione su quello che sarà un soggetto centrale, ovvero il rifugio Buite: i raggiolatti, che sono pur sempre i custodi della memoria locale oltre che magari pure discendenti dell’artefice, assicurano che il toponimo d’origine è “Casetta di Buite”, che qui useremo nell’accezione attuale di rifugio/bivacco. Considerando però che sulla cartografia e pure sui documenti con i quali la ex-CM ne assegnava i lavori di restauro (inizio millennio) si trova “Buiti”, occorrerà pragmaticamente assuefarsi a entrambi gli appellativi.

Autunno – Lasciato l’asfalto e gli ultimi lembi occidentali dell’abitato, il tuffo sul mondo tappezzato di brunarancio è pressoché immediato. Nonostante la giornata coperta (addio velleità di colori e contrasti!), siamo fortunati: lo spesso tappeto di foglie scrocca sotto i nostri passi, non è un pagliericcio di umida poltiglia. Il che non è poco, viste le recenti piogge.

Fate – Sempre in gradevole salitella, oltrepassato l’innesto del 30 dal quale – se va bene – torneremo, si giunge poco dopo al Lastrone delle Fate, un piatto affioramento di macigno d’arenaria che nelle semplicità popolari d’un tempo può ben evocare atmosfere fiabesche, là in mezzo alla risorsa che significava la sopravvivenza della comunità e ne rende tutt’ora rinomato il prodotto.

Autunno d’altura – Dopo bei passaggi di mezzacosta, la quota si alza, il faggio succede al castagno, il percorso si fa più arzigogolato e pure più insidioso per le molte vere o false deviazioni (menomale che c’è Andrea!), il fondo sconnesso e ambiguo con letto di foglie più infido, le pendenze più significative. Divertimento assicurato, grazie anche all’entrata in nuvola che dà un tocco di avventura in più (peccato solo per la forte condensazione sui rami che la trasformano in molesti goccioloni). Ovvio che al tempo non vi era ancora traccia di bandierine biancorosse, dato che … le segneremo nella prossima puntata!

Borri e Fossi – Durante la salita si guadano tutti gli affluenti destri del Teggina a monte di Raggiolo. Sono incantevoli e pure un piacevole diversivo, un’ottima occasione per farsi quattro risate mettendo alla prova, specialmente nella stagione fredda, la tenuta del Goretex® dello scarpone… Acqua Fredda, Acqua di Carbo, Fosso Fonte del Faggio: nomi che rispecchiano l’antica schiettezza popolare nella semplice nomenclatura. Un delizioso salto d’acqua nella cupa atmosfera e un invitante “sedile” naturale spingono alla foto ardimentosa… non senza però una – diciamo così – imbragatura di sicurezza…

Bivacco – Belli inumiditi e con un po’ di fiatone (si sono pur sempre già fatti oltre 750m filati di ascensioni!), finalmente si profilano tra la nebbia i tavolini e successivamente la struttura del Rifugio Buite. Piccolo ma accogliente e ben tenuto, ha pure delle dependances uso notturno. Una riscaldatina-asciugatina non sarebbe disdegnata, quindi tentiamo una accensione del focolare ma la legna umida e la mancanza di primer petroliferi (vergogna su di noi!) porta solo a patetici fallimenti. Va be’, almeno non ci sgocciola addosso!
Al termine del frugale e freddo pranzo, si discute il da farsi per raggiungere rapidamente il crinale verso sud, in assenza di sentiero, segnato o meno.

Crinale – Dal Buite/i, un percorso dritto al crinale va a trovare pendenze inopportune, rese ancora più tali dal letto di foglie fradice. Prova ne sono un paio di esilaranti sdruccioloni … Anche diagonalizzare non è semplice, dato che gli incassati impluvi si rivelano ostici all’attraversamento. Ma alla fine, il primo che raggiunge il recinto spinato richiama i compagni a mo’ di segnavia e, se pur col fiatone, siamo finalmente sul nardeto prossimo alla Pozza Nera e verso la quale ci incamminiamo. Inutile negarlo, il fatto che siano terminate le salite ci rende visibilmente più allegri.

Pozza Nera – Già in condizioni normali, il laghetto rappresenta comunque un’attrazione lungo la Via della Montagna ma in queste circostanze il tutto assume un’atmosfera da film fantasy. Gironzoliamo un po’ nei dintorni, per curiosare e anche perché (non ci vergogniamo a dichiararlo) col denso nebbione abbiamo qualche difficoltà a trovare l’imbocco del 30. Ma prima che il panico si impadronisca delle povere membra già provate dalla penetrante e gelida umidità che ci avvolge, ecco il richiamo trionfante: “Di qua!”. Solo che chi richiama è a sua volta oscurato dal nebbione, quindi…

La via degli oliandoli – Il CAI 30 sarebbe sostanzialmente un comodo stradello che scende a Raggiolo percorrendo la cresta, parte della quale chiamata Costa dei Ciliegi, che divide il Teggina dal suo futuro tributario, torrente Barbozzaia, anch’esso molto legato alle storiche attività produttive locali. Ma i suoi 5.7 km di impietosa e inesorabile discesa (un cumulato monotòno di circa 880m, praticamente pari al differenziale altimetrico) non saranno proprio un godimento di ginocchia. Ma qui si ammirano anche pedoni secolari, attraenti visuali sulle creste che chiudono a oriente il Casentino (con la solita infame stiracchiata di plasticottica sul Sacro Monte) nonché la caratteristica Tomba dell’Oliandolo, nel Piano del Poro Mondo, sulla quale suole lanciare un sasso per guadagnarsi un’indulgenza. Questa era infatti una strada di transumanze e commerci col Valdarno, compreso quello dell’olio, e questo uso è uno dei tanti tramandati, assieme alle tradizioni e leggende popolari di cui queste alture sono intrise.

Reame della raggiolana – Buona parte dell’anello si svolge in quei castagneti che da secoli rappresentano sostentamento, vanto e identità stessa della comunità, assieme ad altre risorse intimamente collegate e altrettanto gelosamente custodite, come miele, funghi e carbone. Qui si è selezionata quella varietà selezionata (cultivar) chiamata appunto raggiolana. Per questo è frequente trovare fusti enormi, gibbosi e contorti dal tempo, alcuni dei quali segnati da porticine degli gnomi (in realtà aperture per raccogliere il prezioso terriccio, polescone o busone che chiamar si voglia) o i loro resti sottoforma di ampi e lignei catini all’interno dei quali a volte spunta il novello virgulto. O testimonianze come i seccatoi, come quello ben visibile lungo il neo-42/A e che dovrebbe essere quello “di Pianuzzelli”.

Le proiezioni dei percorsi su GE mostrano i diversi tratti e le numerazioni dei sentieri di contestuale interesse, considerando però che alcuni di questi, come lo spezzone già esistente di 42/A in rosso scuro, saranno oggetto della puntata successiva. Limitatamente all’attuale contesto, si noti la traccia blu, CAI 30, parte del quale è in comune con l’ascesa prima che il neo-42/A (traccia vermiglio) se ne stacchi fino al Buite. La traccia verdina descrive il diagonale fuori-pista fino al crinale (00/CT, traccia gialla), che viene poi seguito fino alla Pozza Nera. I “ricoveri” segnati sono dei piccoli ripari che potrebbero essere utili in caso di scherzi meteo.

Il plot altimetrico del neo-42/A (traccia “netta”) al quale va aggiunto il tratto inziale del 30, pari a 0.6km e ascensioni per 90m. Nella missione narrata, aggiungendo quindi anche il tratto Buite – Pozza Nera e considerando diverse digressioni foto-esplorative lungo tutta la scarponata, per un totale di 14km, si è allegramente superato il chilometro di ascensioni totali. Segue il plot del discesone del 30, sempre a monte dell’innesto.

 Un caloroso augurio per l’evento del 16 giugno!

Saluti da Carlo Palazzini, Gianfranco Landini e Franco, a loro volta ospiti di Andrea e Davide, raggiolatti doc, che hanno guidato la scarponata e contribuito ai contenuti del post.

Appuntamento col sequel: 42A, la Croce e la primavera

 

Alcuni riferimenti: