10 Lug Alla riscoperta di una memoria
Dopo la prima puntata, in questo secondo appuntamento 2014 continueremo a cantare i paesaggi del Pratomagno ma daremo anche uno scopo a questo nostro lungo e persistente scouting quassù, ‘ché sennò sembra solo un accanimento patologico! Uno scopo che abbiamo solo vagamente accennato la volta scorsa e di cui in effetti abbiamo accuratamente evitato ogni outing fintantoché non si sono verificati alcuni scenari necessari e raggiunti alcuni degli obiettivi prefissati.
Questo post, come tra l’altro il precedente, sarà di fatto una cronaca di un backstage, una breve sintesi di antefatti e retroscena, riordinata più per tematiche e soggetti che secondo mera cronologia o sequenzialità di percorso, data anche la molteplicità delle sortite riassunte. Con queste attività, in cui si è macinato ben oltre il centinaio di chilometri di scarponate con sole, vento e neve (acqua no, l’abbiamo accuratamente ma anche fortunosamente schivata…) e tanta passione, speriamo di aver gettato delle timide basi per qualcosa di ben maggior significato.
L’area più frequentata
Sembrerà strano, ma l’area meglio attrezzata e maggiormente frequentata del Pratomagno, proprio in prossimità dei suoi culmini, è un’area che quasi non ha nome. Anzi, stando alle cartine neanche tanto vecchie poste a tabella nelle altre aree vicine (tutte con un dignitoso nome proprio), neanche esiste! Solo la grande festa dello scorso anno ha fatto ricordare la cosa e c’hanno messo qualche pezza… E noi iniziamo proprio da qui la nostra cronaca, con un paesaggio sufficientemente invernale e un brutale e gelido vento sul crinale che ci ha poi fatto benedire lo scoppiettante ristoro del rifugio.
Nel pomeriggio della stessa giornata sarà da queste parti anche Simone, come vedete dal suo reportage.
Il caldo focolare, condiviso con altri avventori della struttura. Fuori, tutti i tavoli erano – diciamo – occupati… Tutto sommato, la giornata non era male, almeno fintanto che si rimaneva alla poventa!
L’antefatto era che appunto poco prima eravamo sul crinale. Meglio, tentavamo di esserci. Già durante la salita si è dovuta far tappa per rinforzo vestiario (con scene a dir poco comiche!) poi in cresta il glaciale e sferzante tramontano ci ha quasi scaraventato per terra…
Dadi e Cocollo-Orsaia
Una gustosa divagazione con bella vista panoramica delle sommità del massiccio (nuvoloni permettendo, vero?), sopra la forestosa conca dei natali del Solano, è rappresentata dalla continuazione del CAI 42 che da Le Porte transita prossimo alle cime Dadi (quota 1348) e Cocollo-Orsaia (quota 1282) per poi finire a Castel S. Niccolò.
Belle, da quassù, anche le viste sul sottostante e sparpagliato abitato di Cetica con tanto di coreografico sfondo d’appennino.
Scene dallo stradello-CAI42 verso Orsaia. Al centro, una buffa gratta-giostrina per ungulati scrofoidi; a destra, il rifugio Orsaia, dallo splendido tetto di lastre di arenaria e posto all’ombra (in giusta stagione!) di un gigantesco faggio.
Dopo diverse sortite in cui le perfide idrometeore hanno vigliaccamente ostruito la desiderata visuale, la nostra perseveranza è stata alfin premiata… dalla già citata nevatòna marzolina!
Della strana forma scura giusto sotto il Poggio Varco di Castelfranco, un’abetina che spicca ancor di più in mezzo alla spoglia faggeta, riparleremo più tardi.
Cerbareccia
Proprio sotto il Varco alla Vetrice, lungo la panoramica che appena sboccata sul versante casentinese se ne va verso Secchieta, c’è una vasta superficie prativa che accoglie pascolo, zampilli, tavoli e fontanella. Qui, al disgelo, i numerosi rigagnoli che scendono dal crinale vi formano anche delle zone acquitrinose che, al sole primaverile, diventano crogiuolo di vitalità animale e vegetale. è l’area della Fonte Cerbareccia, dove basta solo considerare e rispettare, oltre la preziosa natura, le recinzioni di contenimento armenti dopodiché il godimento è assicurato.
Varco alla Vetrice
Dalla Cerbareccia è possibile risalire, su brevi percorsi attualmente non segnati ma abbastanza evidenti, al soprastante Varco alla Vetrice. Come nel restante crinale a cardeto, in primavera è un pullulare floreale, ma qui sembra che le differenze tra il freddo ed erboso lato nord/casentinese e il soleggiato e macignoso versante sud/valdarnese, siano esaltate anche dalle rispettive vegetazioni, talvolta anche minute e seminascoste. Peccato per alcuni intrusi plastico-ottonati 12-gauge!
Seguendo lo 00/CT verso sud, si scavalca il Poggio Varco di Castelfranco (quota 1516) per poi transitare sopra il tunnel dell’omonimo varco.
Il fotogramma a sinistra, lungo la risalita alla Vetrice, merita un suo commento. Il nostro Ortolano, incappucciato per un vento pungente e insistente, è al telefono con Lorenzo, noto patron di questo sito e boss degli astrofili cittadini, che ci sta giustappunto lanciando un allarme-tempesta-in-arrivo-si-salvi-chi-può! Immaginabile l’immediato “ripiegamento tattico”…
Dal Poggio Varco di Castelfranco, la cui cima è caratterizzata dalla croce metallica (che dovrebbe essere un riferimento geodetico), si ha un buon dettaglio sul sottostante valdarno aretino e (grazie anche alle nuvole!) verso l’area apicale del massiccio.
Portacce
La breve ma erta risalita verso l’incrocio delle Portacce, un centinaio di metri di dislivello, può essere percorsa seguendo il canonico doppiozero o con semiaggiramento su sentiero bovino, traversando l’impluvio nord in piacevole mezzacosta e che in sua stagione si rivela botanicamente ben generoso.
Anche da qui, vista di tralice sulla conca del Solano e sulla nota abetina dalla inusuale forma, visibile nonostante la prospettiva grazie al forte contrasto col bruneggiare delle gemme di faggio.
Solano
Se avete notato, considerando anche la scorsa puntata, concentriamo spesso l’attenzione sulla conca del torrente Solano, cosa che può anche apparire strana dato che questa zona non riveste particolare attrazione per i gitanti o riceve degna attenzione dalle cronache. Eppure questo è proprio il fulcro del nostro daffare!
In questa conca, oggi giovane e fitta faggeta e la cui parte alta prende nome Prato alle Vacche, ebbe luogo la tragica fine del trasvolatore australiano Herbert “Bert” Hinkler, che aveva peraltro l’Inghilterra come seconda casa. Qui, in zona adiacente a quell’abetina dalla sagoma particolare e ormai più volte richiamata (nome in codice, guardacaso: Great Britain), Bert, che al tempo era già eroe nazionale per le sue precedenti imprese, si schiantò col suo DH80A Puss Moth. Era il 7 gennaio 1933 ma i poveri resti furono scoperti solo il successivo 27 aprile, il corpo un’ottantina di metri più a valle del relitto. Le cause ufficiali dell’incidente sono riportate sui rapporti legali del tempo e, benché contestate da alcuni viste le non proprio cristalline indagini e la labilità di prove e ipotesi, rimangono tutt’ora sottoscritte dai competenti organi nazionali australiani. Ma su questo particolare argomento noi non andremo comunque oltre.
Al tempo, il luogo dell’incidente fu segnato da tumulo e crocefisso, pure riportato sulla cartografia d‘epoca, cui seguì a breve un robusto memoriale sul (sembra!) poggio lì sopra, quello del Varco di Castelfranco. Ma il secondo conflitto spazza via tutto e nulla ricorda più Bert fino al 1967, quando fu inaugurato l’attuale cippo sul Pianellaccio. Il luogo della sventura, generazione dopo generazione, sembra però perdersi sempre più nell’oblio. Laggiù, nonostante un bel sentiero trasversale che guada una decina di acque primeve del Solano, in pochi passano.
La nostra iniziativa, ormai da quasi un anno, è volta ad almeno tentare di recuperare una memoria che appare perduta.
Molte delle nostre indagini dovevano essere svolte in inverno, prima che le fitte ramature divenissero chiome occlusive. Il ritrovamento di un marker, lassù piazzato quarant’anni fa da noti aretini assieme ad appassionati australiani, è stato un milestone della vicenda.
Innumerevoli i riscontri visivi comparati con le foto d’epoca e i megabyte scambiati con i nostri corrispondenti agli antipodi per incrociare dati e risultati. Persino l’età dei faggi “sospetti” è stata accertata con la disponibile e competente collaborazione di un esperto in selvicoltura.
Ora, un nostro progetto, peraltro condiviso dai nostri interlocutori australiani, è quello di “inaugurare” un itinerario sentieristico dedicato al trasvolatore australiano, che non solo percorra ad anello i luoghi legati alla vicenda ma che anche unisca tutti i sentieri e i punti sommitali del massiccio, garantendo percorribilità per tutti (o quasi), aree di respiro/ristoro e supporto informativo-logistico predisposto via web. E’ anche possibile che le autorità australiane, in accordo con i nostrani enti competenti, contribuiscano a posare un memoriale laggiù, dove un destino si è compiuto. Vedremo. Se così fosse, un altro piccolo passo per recuperare quella memoria sarebbe compiuto.
In anteprima, diremmo in esclusiva anche se ancora poco più che bozza, una immagine-sintesi della nostra proposta (“nostra” intesa anche come CAI Arezzo e Brigata di Raggiolo, oltre che privata passione), un percorso chiuso di 8.4 km, dotato di “tutti i comfort”, sufficientemente attraente anche dal punto di vista paesaggistico, provvisto di bretelle-varianti e che, come testimoniano gli articoli, abbiamo strasperimentato in tutte le salse.
E qui sfuma il nostro “dietro le quinte”, che ha ripercorso le nostre missioni dove si è investigato e verificato per poi poter poi proporre qualcosa in più e stavolta “in palcoscenico”. Ora saranno altre cronache, a cominciare dalla celebrazione del prossimo 27 luglio, a dare forma e sostanza – noi speriamo – a queste iniziative.
Epilogo
Ben noto come ci piaccia l’alimentazione campestre autogestita, ma quando ci vuole ci vuole…
Immancabile un’ode alle acque correnti, sicuramente anche “chiare, fresche e dolci”, vitali per la natura e la civiltà a valle ma, nel suo piccolo, anche per lo scarponatore, che ne fa preziosa scorta in borraccia. E certi guadi sono anche piccoli test di percorso…
Sintomi di primavera (E) nonostante l’abbondante neve marzolina ancora a terra.
Saluti a tutti da Carlo e Gianfranco (guest stars: Franco, Andrea e Davide)