19 Gen Gli anelli Frassati del Sacro Monte d’Alvernia
«Io ho in Toscana un monte devotissimo, il quale è molto solitario e salvatico ed è troppo bene atto a chi volesse fare penitenza in luogo rimosso dalla gente, o a chi desidera vita solitaria.» (l’offerta del conte Orlando di Chiusi in Casentino a Francesco, 8 maggio 1213; tratto da Della prima considerazione delle sacre sante istimate)
Una bella giornata serena e fredda come si conviene alla settimana di Natale, abbiamo percorso il doppio anello – o sentiero Frassati – della Verna, pure questo in tema di periodo. Il percorso è costituito dall’anello basso che circumnaviga la base del Monte e da quello alto che ne percorre i bordi spioventi e raggiungendone la cima.
Partendo dalla Beccia saliamo percorrendo l’antico selciato – l’Ansilice – che fu l’unica via per raggiungere il monastero. Il prato antistante il Crudo Sasso e il Santuario è parzialmente innevato, gli alberi senza foglie lasciano vedere la grande roccia che ci sovrasta. Di giorno feriale, tutto è quieto e siamo soli nella foresta bianca di neve e di faggi spogli, enormi, silenziosi. A terra innumerevoli tracce di animali piccoli e un po’ meno ci fanno sperare di vedere un cervo o un capriolo, ma anche temere di incontrare un grosso cinghiale come quello che ha lasciato la sua lunga grufolata sulla neve sollevando il tappeto di foglie sottostante.
Continuiamo a camminare intorno al massiccio tra rocce e neve, arriviamo alla “ghiacciaia”, una grotta naturale dove si manteneva il cibo durante l’estate, ma è anche l’intera zona a chiamarsi così. Di tanto in tanto si sente un bramito ma non si vede nessun animale di grossa taglia: pur essendo solo in due siamo visibilissimi per loro, in mezzo alla neve e al bosco spoglio. E poi non ci muoviamo certo silenziosamente, anzi! Giriamo intorno al Santuario, lassù, sopra di noi: difficile non pensare al Santo che camminava in questi luoghi cercando Dio e Pace con una intensità che arrivò fino al cielo.
Attraversiamo un torrente gelato continuando in leggera salita in direzione est, siamo sempre sul buio e freddo lato nord. Ora nel bianco della neve tra gli alberi si vede un’aurea rosata, come un’alba: stiamo per raggiungere un varco soleggiato, il Sasso Cavallino, che guarda dritto verso il varco della via Romea dell’Alpe di Serra. Mentre usciamo dall’ombra e dal gelo della Ghiacciaia mi viene in mente “Fratello Sole, Sorella Luna…”. Ripiombiamo nella buia foresta e, tra evidenti grufolamenti e le scoscese pareti del Penna, alcune rocce vagamente geometriche sembrano ruderi di un antico muro. Ma è solo l’azione del gelo lungo i piani costituenti la roccia stessa.
Alla fine lo scuro sipario di spoglie chiome si apre e vediamo in pieno sole la croce di legno della Calla. Ci godiamo il finalmente luminoso panorama per il sentiero 56 che ci porta al bivio con il GEA/50 e poi nuovamente verso il complesso monastico.
Ansilice – Solito parcheggio alla Beccia di buon mattino, solita splendida salitella dell’Ansilice. Dopo i lavori estivi al Sasso Spicco, tocca ora di nuovo alla scogliera, che già vide grandi interventi di consolidamento a inizio millennio. Il Crudo Sasso è sempre più precario, purtroppo, e la vista che normalmente si gode da qui ne risente assai (vedi anche l’articolo un po’ speculativo sulla Ghiacciaia. L’impalcatura è comunque notevole, artefice la stessa ditta che vi aveva già operato e viene da pensare come sarebbe sfruttandola da piattaforma di bungee jumping … Iniziamo qui l’anello basso del percorso Frassati.
Faggeta – Seguendo la scogliera in senso orario lungo il CAI 053 si entra nella poderosa faggeta che porta alla Ghiacciaia. Gli alberi svestiti lasciano filtrare una buona luce ma soprattutto una buona vista della parte normalmente celata delle ripide pareti calcaree, qui ancora apparentemente lisce e monolitiche. Le tracce fresche di fauna selvatica sono notevoli, sia in impronte sulla neve sia di altro genere. Il nomignolo “massolandia” non sarebbe sbagliato, anche per ricordare che ogni tanto può magari venir giù qualcosa …
Ghiacciaia – L’area densa di mostruosi e limacciosi detriti calcarei non smentisce il suo terrificante aspetto alieno, neanche imbiancata. Sarà anche colpa dell’ombra perenne e della neve, che mandano alle stelle la temperatura di colore e monocromizzando tutto in blu. Le foto sono state volutamente ribilanciate solo in modo parziale per rendere l’idea di come anche l’occhio avesse seri problemi di adattamento cromatico. Il sentiero è ben arzigogolato e non ci annoia di sicuro, anche perché con una copertura nevosa pressoché vergine (solo impronte animali che loro pure hanno meticolosamente seguito il tracciato… ma questa è una constatazione col senno di poi), si rischia sempre di perderselo!
Sasso Cavallino – Guadato un torrentello che va verso il Corsalone, la foresta di apre improvvisamente a nordovest, lasciando Poppi in bellavista. Laggiù in fondo, oltre la costa digradante del Pratomagno e grazie ad un sole radente e una infame stiracchiata di telefoto, ecco le guglie innevate del Cimone e del Corno alla Scale (112km!). L’area circostante non esce però dall’ombra e anche i calanchi scistosi non acquistano colore. Siamo nella zona sottostante il Masso di Fra’ Lupo e le orride pareti nord del Sacro Monte, scoscese, frantumate e accavallate, svettano ora sopra le abetine. Poco dopo il sentiero devia verso Rimbocchi e il nostro cammino prosegue la circumnavigazione col CAI 056.
I piedi del Penna – Ora la faggeta sembra meno fitta (ma qualche albero è ancora imponente) e la visione del pauroso costone che sorregge la cima del M. Penna, annunciato da ciclopici massi accatastati ai piedi della parete, è impressionante. La geometria di due macigni ricorda ruderi di mura ma è solo uno scherzo di piani di sfaldatura e ghiacciate secolari. Facciamo un po’ di fuori sentiero passando ripetutamente dal vecchio al nuovo tracciato. Oltre alle svariate impronte, frequenti sono le lunghe grufolate e insogli – ora gelati – di cinghiale. A est si intravede l’apertura e, finalmente, una colorimetria più familiare coi fianchi del M. Calvano illuminati dal sole.
La Croce e il Calcio – L’uscita dalla scura e bluastra foresta nella vivida e illuminata sella della Croce della Calla rinfranca spirito e fisico. Qui, tra l’altro, arriva dal Calvano il CAI 050, la “superstrada Verna-Trasimeno”, che in zona è anche GEA/CT e che ora seguiremo fin dentro il Santuario. Ma dopo il ritrovato godimento di colori e contrasti, a catturare l’attenzione è quel mostruoso sperone di roccia frantumata che sembra una deformazione della montagna a seguito di mastodontico urto e non a caso detto Calcio del Diavolo. Lassù c’è il Pennuzzo, e andremo anche lì.
Checcona – Discendendo dal crocevia, si cammina lungo un tratturo, poi su strada bianca che diventa selciato e infine si trova la provinciale 208 che, solo a partire dagli anni 1920, da Chiusi porta al Santuario senza troppi sudori. Il fianco del Monte, ora anche sorretto da antichi muretti, è oltremodo fitto di faggi. Ben illuminato, mostra anche terrazze di possenti macigni grondanti di ghiaccio, tanto per sottolineare come la temperatura non sia proprio mite.
Al Santuario un cielo stupendo ci fa sostare a goderci l’ampia visuale panoramica che si abbraccia dal Quadrante, questa terrazza su roccia – quella del sottostante Sasso Spicco – a quota 1128, con la grande croce di legno e una vista che va dall’Umbria alla Liguria: uno dei più bei paesaggi del Casentino. Ci facciamo il corridoio, il letto, la Cappella delle Stimmate – da Cristo prese l’ultimo sigillo che le sue membra per due anni portarno – e quelle adiacenti; proseguiamo con la Basilica e la chiesa di Santa Maria degli Angeli, la prima ad essere edificata. Restiamo ammirati davanti ai capolavori robbiani ma ci emozionano i luoghi spogli e freddi di Francesco…
Accesso comodo – Stiamo chiudendo il primo anello ed entriamo al Santuario per l’accesso carrabile usato dai più. La neve schiacciata sull’asfalto dai veicoli è assai gelata e infida: si camminava molto meglio su terreno selvaggio! Passiamo la Cappella di Fondo, la statua del Serafico Padre con tortore e bambino e, data l’ora e la temperatura, la vista del Refettorio del Pellegrino ci attrae senza pudore. Visto quello che ci aspetta, ci proponiamo un pranzetto frugale che però, causa genuina bontà del vettovagliamento, rimarrà pio proposito…
Quadrante del Santuario – L’avremo fotografato innumerevoli volte, ma non vi si può transitare senza cedere alla tentazione, specialmente se lo troviamo deserto, con tracce nevose e con bella giornata …
Pranziamo molto dignitosamente al Refettorio del Pellegrino e poi su per l’ultima tappa sulle alture del Sacro Monte. La salita è subito spettacolare con gli immensi abeti secolari nel primo tratto e poi vicino alle celle dei santi un panorama luminoso e grande a strapiombo sotto la piccola croce di legno. A mano a mano che si sale lungo l’orlo del baratro si vedono panorami vasti e cangianti: dall’ombra scura sotto il monte ai colori dei boschi, ai tratti innevati e alle valli sottostanti. Si vedono Poppi, Bibbiena, la Piana di Campaldino e sopra queste il Pratomagno, e ancora dietro la montagna Pistoiese, il Cimone. Scherziamo facendoci le foto su grossi ceppi o fusti acrobaticamente abbarbicati alle rocce a strapiombo ma in certi momenti, mentre si sale in un contemplativo silenzio. Il pensiero torna alla sacralità del luogo e alle cose arcane che vi sono accadute, alla pace e al rispetto che incute questo Monte sacro a tutti i credenti e non solo. Il monte della Verna fu donato a San Francesco dal Conte Orlando di Chiusi e per secoli tutta la foresta intorno è stata curata, direi preservata dai francescani. Poco prima della cima un enorme pilastro di roccia, il Masso di Frate Lupo (quota 1230 circa) a strapiombo sulla valle ci fa capire come tutto il Sasso della Verna sia come un balcone affacciato sul mondo ma in un equilibrio direi miracoloso.
Arriviamo in cima con un po’ di fiatone a quota 1283 (anche se, per i curiosi, le CTR riportano 1284.2m), dove c’è la terrazzina con la balaustra in ferro battuto e non possiamo fare a meno di gioire per lo spettacolo che ci si apre davanti agli occhi: dai monti delle Marche a quelli della Romagna, al Casentino disteso sotto di noi e chiuso dal Pratomagno; più lontano la montagna pistoiese innevata brilla nel sole che sta ormai scendendo. Le nuvole sparse rendono il cielo mutevole e sottolineano le valli, i boschi e le montagne dando rilievo e colore a un paesaggio stupendo. Ci fermiamo volentieri, ci mangiamo il biscottone di rito (anche due) e continuiamo a fare foto che ci paiono una più bella dell’altra. Una folata di vento gelido ci ricorda del pomeriggio inoltrato, l’oscurità non tarderà molto ed è consigliabile terminare per debito tempo il tragitto.
Ma non si può non fermarsi ancora sul Pennuzzo, un altro spettacolare terrazzino a mo’ di sperone a quota 1266, poi giù veloci, passando per il cimitero e riattraversando il Quadrante, scendiamo per l’incantevole lastricato dell’Ansilice, che il 50/GEA/CT lascia poco sotto il portalino che segna l’inizio formale del CAI 053 percorso in partenza, e giù fino alla Beccia e all’auto.
Siamo contenti al punto che quasi non si sente stanchezza per la bellissima giornata che Francesco sembra averci voluto regalare.
Foresta Sacra – Ancora vagamente appesantiti dal lauto pasto, iniziamo l’anello alto incamminandoci in souplesse nel vialetto del compianto abetone (e di abetoni-pilastri ce ne sono ancora, qui) per poi trovare il CAI 051 alla Cappella del Faggio, seguita dall’arroccata Cappella del Beato Giovanni e relativa Croce. Aggirata da evidenti tracce di un curioso (o spericolato?) animale, la Croce lignea è piantata sul vertiginoso terrazzino, a picco verticale, all’estremità della scogliera delle stimmate. Ben evidente la foto d’altra stagione che mostra la Croce ripresa dabbasso. Il percorso, ancora in senso orario, mostra roccioni terrificanti, strapiombi, finestre panoramiche, foresta mista secolare le cui radici formano spesso comode scalinate, arzigogoli di tutti i tipi… un concentrato di meraviglie per lo scarponatore dilettante. Un ceppo a mo’ di piedistallo e una posa statuaria da condottiero che indica la via … l’euforia ci fa tornare ragazzi.
Fra’ Lupo – Il sentiero prosegue sempre lungo il precipizio formato dal bordo nord del Monte, dove ogni tanto si aprono terrazzine dalle quali si prende visione del dirupato profilo. Continuando a gustarsi sentiero, foresta e vedute si arriva al Masso di Fra’ Lupo, uno dei punti più particolari del Monte. A parte la genesi del nome, il birillone di roccia con la sommità più grande della base d’appoggio e che appare (non solo) rimanere ritto per miracolo fa veramente impressione. Le copiose stalattiti di ghiaccio sui fianchi, infatti, rivelano come anno dopo anno si procurino e si propaghino fatturazioni della roccia che potrebbero anche sconsigliare di attendarsi laggiù sotto …
Punta del Penna – Ed ecco, dopo qualche roccioso saliscendi, si intravede la cappelletta dell’Angelieri di fine ‘500, segno che siamo in cima. L’erto e crespo terrazzo di roccia nuda si apre improvvisamente sul baratro senza ostacolo alcuno, fatta salva una parziale balaustrina ferrosa di qualche secolo fa (terrà? mah!…). Una vista di profilo assicura che la verticalità della sottostante precipitosa parete non è solo una impressione. Lo spettacolo a 180 gradi e più è unico e stavolta, dopo diverse sortite sfortunate, il cielo è luminoso e l’aria non troppo fosca. Davanti, verso nord, si apre la Valle Santa, con gli inconfondibili calanchi di Montesilvestre, contornata verso est dall’Alpe di Serra, che tende a chiudere a destra col crinale GEA casentinese-tiberino fino al vicino M. Calvano e la Croce della Calla giusto lì sotto. Più lontani, sempre nel quadrante nordest, si distinguono Comero, Fumaiolo e Carpegna. Il quadrante nordovest vede tutto il crinale dei Mandrioli, di Badia Prataglia e della Giogana fino al Falco-Falterona, quasi coperti dal Poggio Baralla che sovrasta la valle del Corsalone. Di abitati se ne ben distinguono diversi, almeno fino a Corezzo. Con un buon spotting scope piazzato qui c’è da passarci la giornata! C’è vento gelido, ma il rituale del doppio biscottone nuiorchese al superfondente non può mancare.
Pennuzzo– Proseguendo, l’orlo del Monte si fa morfologicamente ancora più disastrato, come agonizzante, fino a giungere alla prua di nave del Pennuzzo, proprio sopra la Croce della Calla e da dove, stavolta senza balaustra nonostante il baratro del Calcio del Diavolo, si apre una bella vista verso est. La successiva discesa lungo il “sentiero del Cardinale” è invece tutta liscia e boscosa fino al cimitero. Anche qui, come spesso altrove, la neve rivela copiose tracce di ungulati che mostrano preferire il tracciato Frassati…
Commiato – Il ritorno al Quadrante e l’uscita dalla primeva Porta della Beccia (o del Martello), dove, tra altre iscrizioni d’epoca, si legge la famosa sentenza “No est in toto sanctior orbe mons”, segna in pratica la fine del percorso. Considerando le inevitabili girovagazioni bisogna mettere in conto quasi 10 km, con poco più di 500m di ascensioni totali. Densi di emozioni.
saluti a tutti da Carlo Palazzini e Franco Landini
PS: in questa piccola testimonianza abbiamo toccato quasi esclusivamente certi aspetti outdoor del Sacro Monte e lasciando volutamente da parte, per diversi ma anche immaginabili motivi, quei luoghi soggetti a enorme notorietà, turismo di massa e sterminata bibliografia, nonché i relativi e straordinari aspetti spirituali, religiosi, architettonici, storici e artistici.